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Intervento di Rita Somma, consulente H&S, sociologa del lavoro, Consigliera nazionale AiFOS, e Roberto Taurino, Ingegnere, Occupational Safety Manager
Le analisi ci riportano dati pressoché concordi nel ritenere che, nell’attuale organizzazione del lavoro, gli incidenti, più che alla tecnica e alla tecnologia, sono legati al fattore umano, che resta pertanto la sfida più grande, ancora da sciogliere, per ridurre gli infortuni. Da questo quadro interpretativo, negli ultimi tempi, si è fatta sempre più strada la necessità di affidarsi ad un approccio gestionale procedurale della prevenzione, delineato come panacea di ogni male, un must have. Ed ecco che parte la corsa per proceduralizzare tutto: per cercare di supportare i lavoratori, vincolare i comportamenti, limitare gli errori, migliorare il livello di affidabilità del singolo e, più in generale, dell’intero sistema. “Una procedura allunga la vita”, potremmo dire richiamando un famoso spot degli anni ‘90.
In effetti la necessità di definire procedure è espressamente richiamata dal D. Lgs. 81/08 nonché dalla giurisprudenza in materia, che spesso ha ricondotto la causa infortunistica proprio ad una procedura, ad una sua mancanza o ad una sua violazione. La mancanza di procedura è pressoché semplice da appurare, quasi meccanica: una modalità specifica di operare che non c’è e doveva esserci! Diverso è il concetto di violazione di una procedura che, invece, presuppone che è stata definita una modalità specifica di operare, che però non è stata rispettata. In questo ultimo caso abbiamo, dunque, la regola di lavoro, formale o informale, e qualcuno che non si è comportato esattamente come si è scritto che si deve fare nell’eseguire quell’azione o quel compito. La mela marcia che, in un sistema regolato preventivamente, ideale, ha trasgredito.
Noi, in questo contributo, ci vogliamo soffermare proprio sulla questione delle violazioni di procedura, spesso non analizzata con la giusta attenzione, ritenendo che possa invece costruire un cruciale punto nodale ancora da chiarire, una intercapedine significativa che presta il fianco ad infortuni.
Ex post infortunio sul lavoro, la conclusione: “qui c’è stata una violazione di procedura” (ndr. da parte del lavoratore, si intende), costituisce la sentenza più immediata, pronta all’uso. D’altronde è senz’altro un verdetto plausibile: una violazione può esserne la causa! Sic et simpliciter. Ma è davvero così tutto semplice? Diciamo che la faccenda “violazione” (di procedura) di semplice non ha nulla, partendo dalla sua determinazione.
Già la solida letteratura scientifica segnala come, troppo spesso, la semplicistica conclusione sia fuorviante. Deduzioni affrettate rischiano, infatti, di lasciare “in vita” quei fattori latenti che hanno portato alla violazione, prestando il fianco ad inevitabili ulteriori occasioni di “violazione”.
Ecco che già in questo ultimo passaggio la questione violazione di procedura inizia ad assumere altri connotati, diversi, più fluidi.
Le violazioni di procedura: un concetto plurale!
Se ci si trova di fronte ad una violazione di procedura dobbiamo mantenere la consapevolezza che stiamo trattando un concetto non univoco ma plurimo, semanticamente sempre legato all’infrazione di una regola o di una norma ma che è riconducibile a tante identità differenti di azioni “in violazione”, che di fatto hanno caratteristiche motivazionali e identificative differenti, delle quali quindi vanno valorizzati tutti i possibili connotati, se vogliamo davvero eradicarne le cause.
Quindi, quando parliamo di violazione di procedura dobbiamo ricordarci che, oltre al nome, dobbiamo ricercarne e delinearne l’immagine, stando attenti alle parole che usiamo, che verranno interpretate. D’altronde, come diceva Nanni Moretti in Palombella Rossa (1989) “Le parole sono importanti” … Di quale tipologia di violazione di procedura stiamo parlando? Ci possono essere, ad esempio:
Questa pluralità causale deve essere tenuta bene in mente: per ogni tipologia di violazione c’è una differente soluzione! E così, abbiamo già messo un primo importante tassello per affrontare la questione, che fa emergere la particolare complessità che richiede, pertanto, anche scelte nella sua trattazione.
L’indagine investigativa su una violazione
Arrivati fino a qui, risulta chiaro come sia fondamentale la modalità di indagine su un infortunio per violazione di procedura. Dobbiamo mantenere la consapevolezza che ogni valutazione è collegata indissolubilmente al modello di riferimento adottato ed all’atteggiamento mentale dell’investigatore. L’osservatore è parte del campo osservato.
In una indagine di questo tipo dobbiamo lasciare sempre il dubio pro reo. La prova di accusa, infatti, deve far permanere un residuale ragionevole dubbio: il movente, il perché! È necessario indagare a fondo sui fattori che ostacolano l’applicazione di comportamenti lavorativi atti a garantire le norme di sicurezza e portare avanti analisi investigative significative, per evitare che simili incidenti si ripetano.
Come procedere? La corposa nervatura scientifica in materia ci aiuta. La Root Cause Analysis (RCA - analisi cause radice), ad esempio, con i suoi diversi approcci, ci sprona ad andare oltre, ragionando per identificarne le cause, comprenderne le motivazioni, individuarne le soluzioni e rimuovere i problemi alla radice. Questo, in ottica preventiva, vuol dire agire ex ante, trovarne il grimaldello interpretativo e giungere prima (ndr. di una “violazione”).
Indagare certo non è semplice, non bisogna soffermarsi sulla “superficie” delle osservazioni (il pelo dell’acqua) ma scavare a fondo. “Lei vede, ma non osserva. C’è una netta differenza”, diceva Sherlock Holmes a Watson. Ogni violazione ci racconta sempre una prima storia ed una seconda storia, che ci induce a non fermarci mai alla prima, in quanto le azioni correttive che ne deriverebbero, lascerebbero “in vita” i fattori latenti che, con effetto boomerang, prima o poi tornerebbero a bussare alla porta di qualcun altro, risultando inefficaci o comunque di portata molto limitata.
Chiariamo subito che un’indagine approfondita e documentata dell’incidente non è una velleità per pochi virtuosi, è un’attività necessaria richiesta dalle normative e dagli standard, nazionali ed internazionali.
Le metodologie di analisi delle RCA costituiscono senz’altro utili strumenti in tale ottica, per analizzare un episodio negativo (infortunio, incidente) o una deviazione riscontrata e comprenderne le cause. L’applicazione di metodi strutturati consente di considerare il problema in maniera olistica attraverso un’analisi del sistema causale newtoniano, che parte dall’assioma fondamentale secondo cui nessun evento incidentale può verificarsi a causa di un singolo errore o di un errore commesso durante l’esecuzione di un’attività. L’obiettivo non è catturare i colpevoli, ma i problemi che hanno innescato l’incidente.
Moltissime le tecniche a disposizione, tra le quali scegliere secondo necessità:
……. e molti altri
In aereonautica c’è il PEAT (Procedural Event Analysis Tool), metodo per l’indagine per migliorare la sicurezza delle operazioni di volo. Uno strumento analitico strutturato e cognitivo progettato per aiutare a indagare sugli errori procedurali della condotta dell'equipaggio e sviluppare strategie per prevenire futuri errori simili.
Anche HSE (Health and Safety Executive, l’ente regolatore nazionale britannico per la salute e la sicurezza sul lavoro) e OSHA (Occupational Health & Safety Authority) hanno fornito indicazioni su come svolgere efficacemente un’analisi di incidente in ambito HSE, distinguendo diversi tipi di cause:
CAUSA IMMEDIATA: condizione o azione che ha determinato un incidente e senza la quale l’evento non si sarebbe verificato oppure avrebbe permesso di avere una ridotta gravità delle conseguenze
CAUSA RADICE: causa sottostante associata all’incidente, per la quale l’organizzazione ha l’autorità di intraprendere azioni che, una volta risolte, impedirebbero o comunque ridurrebbero significativamente il rischio che un incidente simile si ripeta (es. mancata pianificazione o organizzazione del sistema sicurezza da parte del management).
Bisogna però stare attenti a non cadere nell’errore di trasformare una ricerca tecnico-strategica delle vere cause in una soluzione comoda di azioni semplici da implementare.
Il paradosso del lavoratore infortunato, ma “competente”
Procedure, formazione e addestramento sono gli aspetti più ricorrenti a valle di un’analisi investigativa, che vanno però affrontati guardando al risultato, dalla forma alla sostanza, stando attenti a non cadere nel paradosso del lavoratore infortunato ma “competente”, come sembrerebbe raccontare la sua storia, in termini di: attestati, esperienza, ore lavorate, ad esempio.
Così facendo, troppo spesso, una violazione viene ricondotta semplicisticamente alla colpa del lavoratore “competente”, che non ha rispettato la procedura. Questa potrebbe risultare un’analisi approssimativa, superficiale, che allontana dalla meta, dal diritto potremmo dire.
La lente di lettura di chi si approccia ad una violazione deve indirizzare verso un paradigma nel quale è sempre lecito, oltre che doveroso, domandarsi se è il lavoratore che non ha rispettato la procedura o se non sia, invece, la procedura a non rispettare il lavoratore ed il contesto in cui il lavoratore si trova ad operare. Non è così scontato! Infatti, le osservazioni eseguite in campo, ormai ci dimostrano che il lavoratore, pur sulla carta “competente”, quando si trova di fronte ad un'attività che si discosta, anche di poco, dall’ordinario, non pianificata, non valutata e non prevista dalla procedura, diventa tutto d’un tratto inesperto.
Un ossimoro, una sorta di inesperienza celata però dall’esperienza, non percepita, fortemente sottovalutata. Ma lui non ne è consapevole, vuole o deve portare a termine il compito; quindi, pur sapendo di violare una procedura, che non risponde però alle sue necessità, sperimenta i suoi aggiustamenti, creando quella che potremmo definire una «METANORMA», cioè un precetto che indica il modo corretto di rispettare la regola, il suo grado di flessibilità e di allontanamento dalla lettera dalla procedura senza tradirne lo spirito.
E così, spesso, pur in presenza di un curriculum che lo porta nella dimensione del “supercompetente”, di fatto si improvvisa pianificatore e progettista. Lo fa con i dati a sua disposizione, cercando di adattarli alle situazioni contingenti, alle pratiche quotidiane di lavoro, alle esigenze del momento, valutandone anche soggettivamente i rischi. E più il ciclo di lavoro è “flessibile”, più questo diventa possibile. E noi sappiamo che valutazioni (dei rischi) errate, incomplete, sbagliate determinano percezioni e scelte prevenzionistiche errate.
Infatti, la sperimentazione, è noto, ha due risultati: può essere un fallimento, che porta all’infortunio, oppure un successo “incompetente”, che porta alla soluzione. E l’eventuale successo, in realtà, non fa altro che rafforzare delle pratiche che vengono legittimate dai lavoratori come funzionanti: “se funzionano e non mi faccio male vanno bene”. E così, la prassi in violazione si consolida, diventa procedura informale “competenza” del lavoratore, che continua ad operare in presenza di costante disaccoppiamento tra pratica operativa e quella scritta, magari nell’indifferenza di chi dovrebbe controllare ma si sente tranquillo della formalità. Da qui ad un comportamento imprevisto ed insicuro, etichettato come “colpa del lavoratore”, che non rispetta i requisiti della procedura formale, il passo è agevole.
Quella che viene indicata come violazione per “colpa del lavoratore” non dovrebbe essere dunque il punto di arrivo, ma il punto di partenza delle analisi investigative. Dobbiamo tener conto che il lavoratore è come se si muovesse in uno spazio tridimensionale in cui lui ha delle necessità primordiali. La prima è non essere la causa del fallimento economico legato all’interruzione della produzione per un problema tecnico che non ha saputo risolvere. La seconda non vuole sovraccaricarsi di lavoro, perché fisiologicamente non si vuole stancare; quindi, cerca di fare le cose in maniera comoda, confortevole prendendo anche delle scorciatoie. La terza è la propria sicurezza, perché lui non vuole farsi male, ma, per qualche strano motivo, quando accade un infortunio succede qualcosa per cui le prime due dimensioni prendono il sopravvento sulla terza.
L’esperienza per una procedura che riduce il rischio di violazione
Arrivati fin qui, dobbiamo necessariamente mettere un punto per provare ad orientare. Come procedere per indirizzarsi verso l’implementazione di procedure che riducano il rischio di violazione? Riportiamo la nostra esperienza.
Il processo procedurale deve comprendere l’identificare delle possibilità di violazione nell’esecuzione del compito, cioè di quelle azioni non previste che possono essere compiute, arrivando a quantificare le probabilità di violazione. Fondamentalmente bisogna porsi la domanda sulla probabilità che quel sistema uomo-macchina o quel sistema uomo-metodo di lavoro possa portare a violazioni con incidenti. Il tipo di approccio potrebbe cercare di rispondere a:
Per procedure complesse potrebbe essere utile scomporre l’attività in unità elementari, trovare ed applicare dei dati o dei giudizi esperti circa la probabilità di violazione in ogni parte elementare, e ricombinare assieme le parti dell’attività complessa al fine di stimare il rischio complessivo di violazione.
Muovendoci intorno al concetto di procedura che ne dà la ISO 9000:2015, ovvero “modalità specifica di svolgere un'attività o un processo”, potremmo partire da due importanti step:
Questo presuppone che ogni progettista di procedure di sicurezza abbia consapevolezza situazionale del palcoscenico entro il quale quella procedura deve compiersi, attraverso:
Partire dall’analisi contestuale comporta che possano essere considerate condizioni peculiari impattanti sull’esito, di conformità o di violazione, correlate a:
Ogni elemento non gestito può creare ambiguità ed incomprensioni, causare una distorsione applicativa.
Non dobbiamo neanche dimenticare l’aspetto non secondario della scrittura, che ha un ruolo strategico, perché deve garantire credibilità nel funzionamento, per “convincere” i lavoratori ad utilizzarla. Infatti, una scrittura non credibile, perché riconosciuta come lontana dalla realtà, porta i lavoratori a non riconoscere utile una prassi scritta. Scrivere bene una procedura significa far passare al lettore anche un concetto di flessibilità e buon senso per apprendere come comportarsi in modo sicuro. Se una procedura fosse lunga e ripetitiva potrebbe portare il lavoratore a pensare che non dia valore aggiunto e quindi ad ignorarla.
Progettare dunque procedure «leggibili», anche creative … purché efficaci!!! Le indicazioni devono essere facilmente percepibili, mostrare con chiarezza la strada da percorrere, evitando però l’eccessiva standardizzazione, che sollecita l’applicazione pedissequa di regole precedentemente immagazzinate (rule based). Questo oltretutto potrebbe incentivare l’errore umano, come riporta in letteratura Reason (1990), definendo la casistica “rule based mistakes” (errori dovuti alle regole), nella sua classificazione di errore (basata sulle categorie di azioni sviluppate da Rasmussen), in riferimento all’applicazione di procedure corrette nel momento sbagliato, o a scelta di procedure non adeguate alla situazione.
Una procedura dovrebbe riflettere il reale contesto in cui i lavoratori si muovono ed essere testata e verificata da molte persone. Le procedure, si sa, devono essere coerenti, affidabili e aggiornate. Evitare il sovrannumero e procedure troppo complesse, non accessibili, stando attenti, al contempo, che siano complete rispetto scenari di rischio. Nella standardizzazione procedurale dobbiamo quindi mantenere la consapevolezza che, in alcune attività, ridurre la complessità a modelli standard ingessanti non è solo pressoché impossibile, ma può essere anche pericoloso.
La definizione di una procedura richiede, dunque, un necessario dialogo tra tecnico e “profano”, i lavoratori, attraverso il coinvolgimento di questi ultimi nella progettazione. Le procedure devono essere partecipate, evitando la rigida separazione tra progettazione ed esecuzione. Oltretutto, i lavoratori, inseriti in un sistema partecipativo, sono motivati ad agire in modo preventivo, prima che il danno avvenga. Se i lavoratori hanno voce in capitolo si sentiranno più responsabilizzati nel rispettare e far rispettare la procedura o, se necessario, nel segnalare la necessità di revisionarla, rendendosi conto che qualcosa non torna rispetto alla realtà.
Spesso, infatti, il problema non è quello che c’è scritto, ma quello che non c’è scritto. Coinvolgere l’operatore in campo ha il vantaggio di rendere più visibili le micronegatività, vicinissime all’operatività del lavoro, minimizzando così il rischio di omettere passaggi critici che vanno valutati preventivamente in fase di pianificazione. Ce lo insegna E. Hollnagel, nel suo testo “Safety I e Safety II”, il lavoro effettivamente svolto non è mai uguale al lavoro che è immaginato dai progettisti e dai manager. La sicurezza dipende dall’uguaglianza Lavoro Come Fatto = Lavoro Come Immaginato (LCF=LCI).
Dietro ad un apparente “colpo di testa” in violazione, dobbiamo dunque pensare che ci può essere ben altro, un indizio che cela una storia segreta non come semplice trasgressione, ma qualcosa di più profondo, che va ricercato, approfondito. Solo l’osservatore più attento e preparato può però coglierlo, superando la forma, per andare alla sostanza.
Per concludere, nell’implementazione di una procedura, il progettista non deve dimenticarsi di considerare:
Purtroppo, invece, assistiamo troppo spesso a procedure elaborate più in risposta ad un requisito di sistema (di gestione) che ad una necessità pragmatica di capire davvero come indirizzare nell’esecuzione in sicurezza. Non di rado, infatti, assistiamo a pratiche formali datate che, pur essendo bollate come “conformi ai requisiti di sistema”, non vengono messe in discussione ma restano fluttuanti zavorre a latere del processo produttivo, un corpo estraneo imposto dall’esterno da tollerare cercando di riceverne il minor fastidio possibile, che prestano dunque sempre il fianco ad una “violazione di procedura”.
AiFOS - Associazione Italiana Formatori ed Operatori della Sicurezza sul Lavoro
25123 Brescia, c/o CSMT Università degli Studi di Brescia - Via Branze, 45
Tel 030.6595031 - Fax 030.6595040 | C.F. 97341160154 - P. Iva 03042120984
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