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Matteo Fadenti intervista Andrea Gobbi, socio AiFOS con un'esperienza completa di RSPP a 360 gradi
Sul giornale degli RSPP di AiFOS cerchiamo di approfondire le tematiche utili agli iscritti al Registro Professionale dell’Associazione. L’obiettivo è facilitare l’aggiornamento sui vari temi cruciali per questa figura, approfondire argomenti tecnici e spesso complessi, facilitare il confronto e perché no aiutare i professionisti più giovani che da poco ricoprono tale ruolo.
Per fare questo oltre ad approfondimenti e articoli tecnici, spesso intervistiamo diverse figure: medici competenti, vari professionisti del settore oppure RSPP stessi.
Infatti, a volte è utile capire di più su questa figura confrontandosi con professionisti che da tempo svolgono questo ruolo e che magari hanno ricoperto sia il ruolo di RSPP esterno che quello di RSPP interno.
Per queste ragioni abbiamo deciso di intervistare Andrea Gobbi, socio AiFOS che si occupa di sicurezza sul lavoro dal lontano 1995. Prima come tecnico ed RSPP esterno (inizialmente collaboratore di uno studio quindi, dal 1998, con la propria società) ed attualmente come RSPP interno di Metallurgica San Marco S.p.A., azienda attiva nella produzione di semilavorati e trafilati in ottone con oltre 140 dipendenti.
Per la sua esperienza, abbiamo quindi deciso di affrontare con lui diverse tematiche relative alla figura professionale.
Matteo Fadenti: Secondo te quanto è importante la figura dell'RSPP interno in una realtà lavorativa ad alto rischio? La stessa importanza potrebbe averla anche in aziende a "basso" rischio infortunistico?
Andrea Gobbi: L’attività di RSPP svolta internamente porta ad indubbi vantaggi non solo professionali, ma anche e specialmente nei rapporti umani. Conseguentemente risulta più facile trasmettere i valori che creano le condizioni per innescare un processo, lento ma inesorabile, di crescita culturale che porta ad un’attenzione sempre maggiore alle misure preventive e protettive, una maggior coscienza dei propri limiti e della necessità di tutelare la propria integrità fisica e la propria salute. Quando questo accade, l’operare in maniera sicura avviene senza doverci pensare, diventa una “buona abitudine” come allacciarsi la cintura appena saliti in auto. Questa è, a mio parere, la definizione più calzante di un termine, spesso abusato specialmente da chi non ha nemmeno idea di quanto accade nel mondo del lavoro, ovvero quello della “cultura della sicurezza”. Un vero e proprio meccanismo virtuoso che mi ha dato la misura di quanto la mia scelta sia stata azzeccata. Ovviamente, nelle aziende che presentano rischi elevati (che non sono poche, parliamo di metallurgico, metalmeccanico, costruzioni ma anche in larga parte del manifatturiero), l’attività prevenzionale è più intensa rispetto a quanto avvenga nelle attività a rischio meno rilevante e per questo sarebbe auspicabile che nelle prime si arrivi sempre a dedicare una risorsa interna per l’organizzazione e la gestione della SSL. Ciò non esclude che anche nelle seconde non si possa comunque perseguire questa possibilità (ricordo che il Testo Unico indica come prioritaria la scelta del SPP interno). Quello che oggi frena le imprese nell’assumere un RSPP interno sono le risorse disponibili. Con un tessuto produttivo come quello italiano, composto per la maggior parte da PMI, microimprese e ditte individuali, non è sicuramente una scelta proponibile su larga scala. Quello che si potrebbe invece imporre, sarebbe una maggior presenza del RSPP esterno in queste attività che, spesso, vengono largamente trascurate dai propri consulenti.
MF: Ad oggi, quali sono le sfide più grandi che un RSPP interno deve affrontare?
AG: Decisamente cambiare gli atteggiamenti ed i comportamenti. Le massime “abbiamo sempre fatto così” e “non è mai successo niente” fanno ancora parte della quotidianità. Posso tranquillamente affermare che sia i Datori di Lavoro che i lavoratori, nella maggior parte dei casi, conoscono benissimo i pericoli della loro attività e le misure preventive e protettive da adottare per prevenire incidenti, ma, per varie ragioni, entrambi, non sempre le applicano. Così come le carenze strumentali ed impiantistiche sono notevolmente diminuite nel tempo ed oggi, le cause di infortunio, sono per la maggior parte attribuibili all’errore umano. Purtroppo, la formazione, come oggi è concepita ed erogata, non è in grado di farlo ed è quindi necessario trovare nuovi strumenti che possano scardinare le “cattive abitudini” e fare in modo, come detto, che la sicurezza diventi la “buona abitudine” con cui affrontare il lavoro.
MF: Cosa pensi della possibilità di avere Datori di lavoro che ricoprono il ruolo di RSPP? (sia in generale che soprattutto in aziende ad alto rischio)
AG: Il Datore di Lavoro ha già tanto da fare in qualsiasi impresa e più piccola è l’azienda, più si trova investito di tanti e diversi ruoli per i quali non è nemmeno preparato. Inoltre, è sicuramente la figura su cui il conflitto di interesse tra profitto e prevenzione, si manifesta in modo più intenso. Per queste ragioni trovo che la scelta del DL di occuparsi anche dell’organizzazione e della gestione della SSL nella sua impresa, sia da riservare esclusivamente alle aziende più piccole e che presentano livelli di rischio limitato (terziario, servizi, commercio, al limite logistica). Purtroppo, attualmente, il TU concede la possibilità al DL di incaricarsi come RSPP in imprese di dimensioni tali da non rientrare in queste casistiche.
MF: Cosa pensi della figura dell'RSPP esterno? Sia in realtà ad alto che a basso rischio?
AG: Ho ricoperto per tanti anni il ruolo di RSPP esterno in imprese di diverse dimensioni e settori. Come detto, il limite di operare da esterno, risiede nel tipo di rapporto che si crea con le persone, oltre alla diversa conoscenza dell’azienda e dei suoi meccanismi. Molto, comunque, dipende da come il ruolo RSPP viene interpretato da ciascun tecnico: personalmente, da RSPP esterno, cercavo di concordare con i miei clienti, in funzione delle loro necessità, frequenze di intervento che andavano dai 15 giorni ai 2 mesi, ma conosco tecnici che frequentano i loro clienti al massimo una o due volte l’anno. Evidentemente, non è pensabile che questi RSPP possano svolgere un’efficiente azione prevenzionale.
MF: Credi sia giusto mettere dei limiti alla presenza di RSPP interno, DL/RSPP, ecc. solamente in funzione del numero di lavoratori in una specifica attività? Useresti altri parametri?
AG: Assolutamente sì. Le esigenze di aziende produttive della stessa dimensione ma di diversi settori possono essere estremamente diverse. Per fare un esempio: nello stesso settore metalmeccanico, una carpenteria che effettua anche montaggi esterni con soli 20 lavoratori è nettamente più complessa di una torneria automatica con 50 addetti. Eppure, la prima può optare per il DL/RSPP, mentre la seconda deve nominare un RSPP diverso dal DL. O ancora: nello stesso settore manifatturiero, un’azienda farmaceutica con 150 addetti è notevolmente più complessa di un’azienda che produce divani con 250 lavoratori, ma la prima può optare per il RSPP esterno, mentre la seconda deve necessariamente nominare un RSPP interno. Probabilmente si dovrebbe rivedere la legislazione sulla base di una parametrazione diversa, ma è piuttosto complesso e l’errore è dietro l’angolo, come accadde per l’utilizzo dei settori ATECO per la formazione.
MF: Credi che le norme attuali prevedano una formazione adeguata per il RSPP (non DL/RSPP)?
AG: Vengo dagli obblighi formativi per il RSPP previsti dalle norme del 2003 e 2006 che prevedevano, più o meno, la medesima formazione di base, ma un monte ore di aggiornamento quinquennale doppio rispetto a quello attualmente previsto dall’accordo del 2016. Personalmente trovo poco credibile pensare che ad un RSPP basti frequentare 8 ore annuali per tenersi aggiornato. E non mi pronuncio nemmeno nei riguardi di chi frequenta le 40 ore in un'unica soluzione al termine del quinquennio, magari limitandosi a ripassare i programmi del corso base. Se, come credo, il RSPP deve portare in azienda un cambiamento nei comportamenti, deve essere in grado di farlo non solo tenendosi aggiornato da un punto di vista tecnico e normativo, ma anche acquisendo le capacità e gli strumenti necessari per farlo. Leadership, comunicazione e didattica, ormai fanno parte del patrimonio genetico del RSPP e per coltivare queste competenze sono necessari, oltre alla formazione, il confronto, la partecipazione a specifici eventi e lo scambio di esperienze. Quindi, ritengo necessario che il RSPP si impegni in modo più intenso e frequente nel suo aggiornamento, scegliendo incontri monotematici mirati ed equamente distribuiti nel tempo. Conseguentemente, le ore frequentate nel quinquennio, diverranno necessariamente molto superiori a quanto attualmente previsto da normativa, a favore di una maggior competenza e di maggiori capacità.
MF: Se fossi tu il legislatore, cambieresti la figura dell'RSPP? Se si, come?
AG: È un discorso pericolosissimo. Già abbiamo assistito ad una progressiva responsabilizzazione del RSPP (professionale e di natura penale) a seguito dell’introduzione della qualificazione di tale figura. Non oso pensare a che tipo di responsabilità potrebbe essere caricato il RSPP se dovessimo ipotizzare un suo maggior coinvolgimento nei processi decisionali o, addirittura, nella gestione dei budget dedicati a SSL. E se così fosse, i costi per assicurare una figura interna diventerebbero ancor più irraggiungibili per la maggior parte delle imprese, allontanando sempre di più la possibilità di dotarsi di un RSPP interno. Forse è meglio resti tutto così!
AiFOS - Associazione Italiana Formatori ed Operatori della Sicurezza sul Lavoro
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